L’assenza delle donne dal mercato del lavoro è un tema trattato sempre più spesso ma, nonostante ciò, è difficile che ci siano reali novità di cui discutere. In sostanza, trascorrono gli anni ma nulla cambia e ci stiamo lentamente abituando ad attendere che qualcosa accada senza, di fatto, attuare grandi azioni di miglioramento.
I dati sul lavoro delle donne
Solo a dicembre 2021 hanno perso il lavoro 99mila donne e 2mila uomini: una sproporzione che ci mostra quanto fragile fosse il risultato raggiunto nel 2019 quando il tasso d’occupazione delle donne si aggirava sul 50,1% (la media europea è del 62,3%).
Nel 2020 ogni 4 lavoratori disoccupati 3 erano donne, e il tasso di occupazione scendeva di nuovo al 48,6%, con un’inattività femminile attorno al 45,9%, contro il 26,3% di quella maschile (dati Istat).
Un dato che fa particolarmente riflettere è quello relativo alla classe di età 35-44 anni in possesso di laurea o post-laurea: il tasso di inattività nel 2020 è del 4,1% per gli uomini e del 13,4% per le donne.
La pandemia ha colpito i settori a prevalenza femminile
La pandemia ha colpito il turismo, i servizi in genere, cura e assistenza ma soprattutto il settore femminile, spesso assunto con contratti a termine o part-time, che nel 60% dei casi non è una scelta. Insieme ad istruzione e sanità, questi settori danno lavoro a 8 donne su 10. La pari opportunità di occupazione, crescita e maggiore partecipazione delle donne alla vita socioeconomica del Paese oltre ad essere giusta e doverosa favorirebbe un aumento del Pil di circa 88 miliardi di euro.
La crescita assente non colpisce solo le assunzioni ma anche la vita delle imprese femminili, che secondo l’osservatorio dell’imprenditorialità femminile di Unioncamere-Infocamere per la prima volta negli ultimi 6 anni ha un saldo negativo. Tra il 2019 e il 2020 siamo a quota -3.907.
Il guadagno medio: uno dato
Al momento, l’unico dato positivo riguarda il guadagno medio delle lavoratrici: l’ultimo rapporto dati diffuso da Eurostat (l’ufficio statistico dell’Unione Europea), evidenzia come in Italia una donna guadagni in media il 4,2 % in meno rispetto ad un uomo – al quarto posto tra le più virtuose, dopo Lussemburgo, Romania e Slovenia.
C’è ancora molto da fare
In Ue molte donne lavorano part-time e non hanno accesso ad interi settori lavorativi: se i contratti spesso dipendono dalle aziende, dalla carenza di supporti socio-economici per la gestione famigliare, l’accesso a professioni ritenute unicamente maschili è un fattore culturale. L’ultimo dossier della Commissione Europea parla ancora di trattamenti discriminanti, retribuzioni inferiori a parità di mansioni, involuzioni professionali dopo il congedo di maternità.
L’arretratezza delle infrastrutture sociali è emersa in tutta la sua fragilità proprio con la pandemia, aggiungendosi ai preconcetti legati alla paternità obbligatoria e alla distribuzione degli impegni famigliari.
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